Lorenzo Pacini e la poetica del levare

Aurelia Nicolosi

Icasticità e lirismo, ironia e drammaticità: un chiasmo letterario, un gioco simbolico che traccia il ductus di un artista originale, potente e visionario. Davanti allo spettacolo funambolico delle tele, delle sculture o delle installazioni, si coglie lo sguardo attento e scrutatore nei confronti di una realtà che emerge forte e prepotente. La materia è scomposta e rivisitata abilmente, mantenendo sempre l’equilibrio tra le parti. Nonostante cammini ad altezze elevate, Lorenzo Pacini riesce a sconfiggere le vertigini di un possibile stordimento. La sua ingegnosità lo mantiene saldo alla corda e lucido nel passo. Nel circo della vita, lui è un acrobata che si allena, non perdendo di vista l’obiettivo della creazione.

I toni apparentemente edulcorati delle sue opere raccontano di una società analizzata nei suoi molteplici aspetti, con un rigore scientifico tipico delle osservazioni al microscopio. I dettagli, gli oggetti assumono un valore, riferiscono qualcosa del mondo e delle persone che li utilizzano. Quasi come un pittore fiammingo che usa più punti di fuga per coinvolgere l’osservatore nella rappresentazione, così Lorenzo Pacini guarda la materia sotto diverse prospettive, per stimolare la curiosità dell’astante e catturarne l’attenzione. La verità assoluta non esiste, esistono complessi significati e innumerevoli maschere che raccontano di una spasmodica ricerca delle cause.

I colori, l’argilla, il ferro, il legno… ogni elemento della sua produzione sembra tradurre parole pirandelliane: «Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci […] se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai!». Forse solo un genio o un folle, al pari di un bambino, riesce ad avvicinarsi all’autenticità della natura fisica e spirituale delle cose, a trovare quelle soluzioni che solo una mente libera e pura può concepire. Secondo Schopenhauer «ogni bambino che nasce è in qualche misura un genio, così come un genio resta in qualche modo un bambino». Tale affermazione è assolutamente condivisibile quando si pensa alla spontaneità del fare, lontana da ipocrisie e da impalcature pericolanti, quando si dice ciò che si pensa e si agisce nella più assoluta chiarezza. Lorenzo è così: la sua arte rompe gli schemi ed assume una funzione empatica, di ascolto dell’altro, di ciò che sembra strano e diverso.

«Quello che manca» nasce dall’esigenza di indagare le necessità dell’uomo contemporaneo, svelare ciò che lo rende così complesso. Significa guardare oltre, andare al di là della superficie, capire che il “levare” può dare corpo e afflato alle idee. In un mondo ostruito dalle informazioni, dove spicca l’appiattimento culturale, la privazione funge da stimolo e sollecita la ricerca di nuovi significati.
Come il bianco contiene tutti i colori dello spettro elettromagnetico, «Quello che manca» racchiude in sé tutte le sfumature della realtà, le intuizioni e i vaticini di un uomo che crede in un possibile riscatto. Non è mancanza di desiderio o di autostima ma ricerca di qualcosa che non è andato del tutto perduto: sensazioni, emozioni, ricordi di una vita intera, impronte di corpi che lasciano segni indelebili, metafore e tracce di un percorso, oltre l’orizzonte, comunemente smarrito.

Cincue primavele, Il Nido, Sul filo del mare ciò appeso i pesci ad asciugare.

Jean Blanchaert

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Philippe Daverio

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Federica Chezzi

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Gianni Papi

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Simona Bartolena

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Francesca Barberotti

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Aurelia Nicolosi

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