Allegro ma non troppo

Jean Blanchaert

Un certo pescasserolese formatosi in Partenope sosteneva che ogni genuina conoscenza è conoscenza storica e che l’arte è un’aspirazione chiusa nel giro di un’interpretazione. L’uomo più colto d’Italia morì a Napoli il 20 novembre 1952. Se fosse ancora vivo e sempre della stessa idea considererebbe Lorenzo Pacini (Firenze,1970), uomo avvitato costantemente nell’effetto volano delle sue interpretazioni, come un autentico artista che arrivi spontaneamente alla conoscenza dei fatti e quindi, li storicizzi.
“Non hai saputo contenere Pacini, non gli hai dato una direzione”, mi ha rimproverato una giovane e brillante curatrice indipendente orobico-berlinese.
Ma, come non posso dire a mio figlio di essere ordinato, allo stesso modo, da quale pulpito, io, gallerista privo di linea, avrei mai potuto costringere in soffocanti griglia e gabbia l’incontenibile Lorenzo il prolifico? Inoltre, dopo tanti anni di mostre senza editing burocratico da parte nostra mi sarebbe sembrato crudele cominciare a perseguire un misterioso rigore proprio in questa occasione.
Arrivarono un giorno in un’illustre casa amici stranieri preceduti per posta da una complicatissima dieta scritta che mise a dura prova il cuoco. Finito il parco pranzo la padrona di casa chiese: “Non vi sapevo vegetariani, da quanto tempo lo siete?”. “Da ieri”. Volendo evitare situazioni del genere abbiamo attinto allo scibile di un allievo di Monsieur de la Palisse, Max Catalano, il filosofo di Renzo Arbore che già negli anni’80 del secolo e del millennio scorsi, sosteneva: “Per un pittore è molto meglio saper padroneggiare le tecniche più disparate con grande maestria piuttosto che esprimersi male in una sola direzione”.

Vediamo avanzare con tanto di ronzio un coleottero la cui calotta ha le iridescenze dell’ala di un aeroplano. E’ un’immagine vitale, dinamica. L’insetto vira in un looping e ci mostra l’altra parte di se stesso: si tratta di un teschio brunito che si mangia una mela, origine di tutte le nostre grane. Porca mela, dice il teschio dai denti perfetti, inghiottendola come una granata. L’immagine è anche darwiniana.

La macchinetta della fine della vita espelle a mo’ di linguaccia beffarda un foglietto col teschio. Lorenzo Pacini, sul posto di lavoro e in pittura, scherza e ci dice cose serie allo stesso tempo.

Un cuore di lana rossa con tutti i suoi ventricoli è posto all’interno di quell’aggeggio che scaldava i letti dei signori e dei contadini. Ha il colore delle brace e visto da vicino brucia, come dovrebbero sempre fare i cuori. Inuit o Masai che siano. Dolce è la prigionia di questo lavoro all’uncinetto.

Altra scultura è quella di un essere costolato, che va e viene per le polverose stanze del Museo di Storia Naturale. Se il vetro iraniano disegnato da Ghiti Nour e soffiato a ottanta chilometri da Teheran  da un maestro capace di farlo esondare dalla struttura toracica ci trasmette stupore, questa gomma che Lorenzo il prolifico fa sbucare dal bronzo arrugginito, oltre a meraviglia, comunica sensualità. E’ come vedere una radiografia con ossa e carne. Alcuni ci hanno visto Don Quixote, altri Marilyn Monroe. Noi, entrambi i personaggi.

Sbuca da gabbia di gobbo, piccolo volatile curioso che vive e ispira il petto di questo poeta leopardiano. I bronzi, bruniti, hanno sfumature pittoriche, quasi fossero tele.

Continua a dirci cose serie Pacini quando passa all’olio su tela. Le lamiere accartocciate di meravigliose automobili targate Firenze, Parma o Deutschland, colorate di un verde acrilico più bello di quello dei prati, disegnate da architettori superiori (Citroen Pallace, Maggiolino Volkswagen), ci narrano storie di metallo. Su queste macchine, sotto ogni tempo atmosferico, è successo di tutto.
Irresistibilmente, sbuca la ruggine, la vera fidanzata di Pacini.

Ecco ora le Rx tibia e perone dell’ex-centravanti del Castellina in Chianti. Molto visibile è il chiodo che tiene tutto insieme dopo l’entrata in tackle scivolato dello stopper del Poggibonsi che non aveva l’eleganza del gesto di Karl Heinz Schnelinger.

Un altro quadro azzurro-memoria ci apparenta alla specie dei volatili. Anch’essi, poverini, possono avere forti cefalee che curano istintivamente col succo di more.
Sempre nella serie azzurra, gli impressionanti canini da carnivora di una volpe scozzese col muso schiacciato perché accecata, cacciata e uccisa senza fair play da macchina con fari abbaglianti. Ma di tutto, un giorno, dovremmo rendere conto.

Grafica è questa blatta, o virus, che occupa l’epidermide umana come quello che si annida nel computer. Non abbiamo però noi terrestri qualcuno che abbia inventato un Norton per difenderci e quindi, ce lo teniamo, grattandoci, essendo impuri, sragionando.

A questo punto interviene la scultura filosofica di Lorenzo Pacini, che porta equilibrio fra pessimismo ed ottimismo. Il suo bicchiere non è né mezzo pieno, né mezzo vuoto, proprio come quello del suo avo, Pacino di Bonaguida, allievo di Giotto, aperto alla contemporaneità di settecento anni fa.
Il fiorentino Giampaolo Pacini, commerciante di tessuti d’alta moda, non poteva non sposarsi con Maria Chiocchini, forlivese, sarta. E’ stato questo cocktail tosco-romagnolo, una volta proibito per legge, a produrre l’ordigno L.P. Molta malinconia, autoironia e gratitudine per i genitori sono presenti nelle immagini grigio-blu dei fratelli Pacini vestiti da Zorro a Carnevale e di Lorenzo a un anno, aggrappato a un salvagente-cigno, in Versilia.

Ma non possiamo indugiare molto in un mondo di ricordi buoni perché arriva un olio su tela che sembra tridimensionale. Raffigura Greta, un’orsetta che sembra dolce, ma è cattiva. Ha dei denti!

Soldatini di plastica per bambini insegnano a far male sin dalla più tenera età.

Piange il nanetto da giardino, le lacrime di questa devozione pagana sono simili a quelle di madonne in ceramica anch’esse piangenti. Chi scrive però, crede al loro effetto, placebo o reale che sia.

Subentrano mutande sporche di qualcosa da cui può nascere una vita. Limone ultra spremuto, pila stramorta, chioccola (al Nord lumaca spettasciata), palloncino sgonfio.

E’ la donna parente della piovra? Le belle mani e i bei piedi delle signore ritratte da Lorenzo Pacini sembrano dimostrarlo. Sono contorsioniste amorose.

Non guardatevi troppo allo specchio, potreste diventare le soli interpreti della vostra personalità, potreste impazzire come il mondo che ha fatto di Susanna dei formaggini una bambola pornografica o quello di Topolino che approfitta di una bellezza di mesi tre.

Non manca uno stranissimo bidet iperrealista con due getti d’acqua paralleli, adatto a un essere che non è ancora stato inventato.

Alle 17.45 di tutti i giorni Lorenzo Pacini inforca il cinquantino Benelli Pepe e torna a Rifredi per scrivere i titoli sui disegni di Camilla Blu. Anch’ella, come il padre, sembra animista. Non è che i Pacini saranno una setta?
Cincue primavele, Il Nido, Sul filo del mare ciò appeso i pesci ad asciugare.

Jean Blanchaert

Jean Blanchaert

Philippe Daverio

Philippe Daverio

Federica Chezzi

Federica Chezzi

Gianni Papi

Gianni Papi

Simona Bartolena

Simona Bartolena

Francesca Barberotti

Francesca Barberotti

Aurelia Nicolosi

Aurelia Nicolosi

Claudio Pescio

Claudio Pescio